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In questa giornata dove ritrovo un poco di coraggio, se si può aggiungo di tipo sociale, ho voglia di fare un arresto: mi’invento di avere una divisa. Fingo di entrare in una casa con un regolare mandato e un’arma regolare da detenere e portare, per dire a chicchessia, “lei è in arresto!”. Non mi capita mai di sentire cosi bene, un poco di coraggio appunto, per lavorare con dei colleghi, assumermi le mie responsabilità, fare sacrifici. Mi sento di fare il cop in questa giornata. Mi sento furente contro la farmacia, mi va di entrare con il distintivo all’altezza spalla, che sia ben in vista, e dire platealmente: “Quanto costa un farmaco contro la follia?”

La dottoressa mi sorride cortese, è solo impiegata in farmacia per ora, poi spera in un posto nella ricerca; sembra meravigliata perché non si aspettava un controllo, così dico sa le norme.. Io leggo il suo bello sguardo e lei chiedo: “quanto costa un rimedio per la mia testa pazza?” Lei mi parla di neurolettici, di classi, di categorie. Ognuna o quasi costa almeno un centinaio di euro. Assaggio una compressa di una confezione, il sapore e gradevole e si scioglie lentamente riportandomi alle felici giornate passate in vacanza, la farmacista sorride e mi dice che va inghiottita e non sciolta in bocca, io penso che peccato ricordare solo un istante. Tutto questo è ricerca. Meglio dire, che le ho chiesto qualcosa che in buona parte deve essere trovato e non ancora disponibile, ciò che mi serve è nella ricerca pura.

Oggi mi sento di non essere modesto e invisibile e voglio fare il controllore per un giorno. Saluto la farmacista perché e arrivata gente e intasco il tesserino o meglio il mio distintivo d’agente immaginario, per andare in caserma dai miei colleghi anch’essi di fantasia. Arrivo in caserma e prendo posto sulla mia branda. L’ispezione è per le undici. Prima devono fare le pulizie con grosse macchine per pulire il pavimento. Il mio compagno di camera ha paura dei lavapavimenti e incomincia a diventare nervoso. Mi dice che quelle macchine fanno un fracasso infuriato e soprattutto c’è l’hanno con lui. E cosi tutte le volte devo chiamare qualcuno per calmarlo.

Stano arrivano perché sento il personale parlare in corridoio, accendono le ruote rotanti per spazzolare la superficie pavimentata. Una ruota tocca la nostra porta e il mio collega inizia ad urlare.  Lui con quanto fiato ha in gola inveisce: “L’hai fatto apposta! L’hai fatto apposta! Io vengo a darti una lezione, hai capito! Lo so che lo hai fatto apposta!” Mi distraggo pensando che mi è tornata voglia di uscire. Guardo la mia divisa inamidato, la manica della giacca che cade a piombo, la riga dei calzoni, i bottoni cuciti saldi e argentati, e cosi che mi fa apparire con la schiena incurvata, inaccettabile. Chi dovrei accusare se anche in questo giorno non ritrovo il piacere di vivere. Forse, le scarpe si stanno un po’ sciupando, cedendo, camminare male rovina i denti, i denti rovinati, la schiena e se la schiena allora le gambe..

Il mio collega non c’è la fa a trattenersi, ha la rabbia tracimata, dilagata tra quello che resta della sua personalità. Non trovare il modo di chiudere i rubinetti dell’angoscia che tracima che soggettivamente e culturalmente significa la vergogna della nudità mentale. Il mio amico è in difficoltà allora chiamo aiuto perché vedo che sta male e prende a calci la porta: Lo bloccano e lo rimettono a letto per un’iniezione, lui digrignando i denti urla: “lasciatemi stare!”e si addormenta.

Dopo due ore quando si sveglierà, avrà nel sangue sedativo e rabbia come olio di motore esausto. Si sparge una notizia in caserma quando io stavo uscendo a prendere un caffè, si vocifera di un omicidio, un fatto grave, si dice che porteranno da noi alla stazione l’assassino, se è colpevole sta a noi scoprirlo. Io non amo l’ippopotamo, perché non amo l’ippopotamo? Non amo l’ippopotamo è basta! Perché non ami l’ippopotamo? Non amo l’ippopotamo, perché no, sì beh.. non odio l’ippopotamo, no, amo l’ippopotamo..

 

 

 

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Ci sono acque sotterranee, e anche mari tutti di diversi colori. La libido è un’emozione o la parte del retaggio della primordiale emozione-oceano. Credo questo e che coesista con tanti altri scenari mentali come ruscelli che non tendono al mare. I colori dell’interiorità sono molti ma io ne vedo solo pochi. Non c’è nel movimento delle acque dello spirito niente che mi sia raggiungibile, tranne questo elemento, lo schivo. Il mi ribrezzo divide il conscio dall’inconscio dentro di me.

Di questi oceani interiori, per paura o altro ne vedo nulla o quasi. Ricordando il testo di un professore americano di psicologia l’Hamilton titolato “Le strutture cognitive della personalità”. Non ricordo quale frase del libro mi fu utile, ero in uno stato di agonia. Mi diede un aiuto in un momento della mia vita difficile, non ne ravviso più il senso. Tutto è struttura, almeno per me. In quel mio frangente, in un momento di tale difficile, era inutile, non serviva a nulla pensarlo.

 

 

 

 

 

 

Sono andato a prendere una rivista, e sono rientrato subito in caserma intirizzito dal freddo di quest’anno, ma è agosto. E’ possibile che la stufetta a carbone sia spenta, alla latitudine settentrionale dovrebbe essere un caldo agosto. Riempio la stufetta di carbone sintetico e di cartacce, bucce e olio di scarto. Guardo dalla finestra, penso, nevicherà a ferragosto, mi chiedo.

Le combinazioni del cambiamento, per quanto plateali, per quanto improbabili, sono inversioni di senso spesso e volentieri. Come immaginare che il caldo sia freddo; non cambia nulla o forse cambia qualcosa; assurdità.

Mi sono seduto a prendere la luce della lampadina perché il sole non si vede quasi più, con le palpebre abbassate lascio che la luce mi abbagli i miei occhi divenuti sclerotici e rossi, come a volte ai gatti: prendo tra le mani la rivista e la soppeso, mi rendo conto che con gli occhi chiusi non posso leggerla, ma vorrei, vorrei tanto che mi venga la voglia di farmi la rivista con le pillole. Non c’è nessuno in stanza, non ho un lavoro, e difficile per me giustificare questo e sogno di imparare, inghiottendo tra le altre “medicine”. Una pillola per tutti i numeri arretrati di astronomia, di fantascienza ecc. E’ vietato prelevare le informazioni con queste nuove pillole che sono dei ritrovati elettronici che assorbono le informazioni e le possono inviare direttamente al cervello in frazioni di secondo dallo stomaco. Quello che adesso sto facendo è illegale, “farmi” la rivista, ma l’estate è fredda e vedo già qualche passante volare in cielo, volare come nel famosi quadro di Magritte. Scoprire l’assenza di gravità con uno sforzo di volontà.

Sfoglio la rivista mentalmente, giro le pagine velocemente, leggo in un baleno, la situazione della fauna e della flora nel mio distretto, il modo di produrre, di commercializzare e l’utile delle numerose agenzie che si occupano della fauna e della flora, le ultime novità in politica ambientale, l’elezione di un ippopotamo a direttore, la vendetta di un maialino famelico ha ingerito la flora e la fauna. Alzo e abbasso il volume della TV. Mi annoio, non basta sapere bisogna capire. Quel poco che capisco mi annoia o meglio mi rattrista, ci soffro e sto male. Se non capisco e mi limito a cercare di sopravvivere e peggio. Rifaccio un gioco e l’assimilo, coscientemente. Qualcosa al fine capisco dopo anni di ripetizioni.

Un giorno potrei essere sintonizzato su decine di canali, migliaia, milioni, e conteneva tutte le connessioni negli archivi mentali della conoscenza. Completata da infiniti siti internet annessi. Nuove informazioni. Un subitaneo scossone, un respiro rotto, un conato represso di vomito. Ero visibilmente soddisfatto con la testa gettata all’indietro mentre provavo e riprovavo a muovere un piede, disteso, a lato o prendevo i capelli e li chiamavo per nome, ad ognuno corrispondeva un’idea e un’informazione su questa terra. Rimasi per niente sorpreso vedendo che da me era arrivata l’ambulanza pronta a trasportarmi in un centro di disintossicazione, caricandomi su una lettiga. Il mio corpo veniva “maneggiato” piegato, teso, segato e anche scottato. Soltanto che in quel modo il corpo assumeva la posizione non voluta. Nella sala operatoria cercarono di darmi una forma, accettabile. Mi sono svegliato nel mio letto con la testa vuota, senza sapere chi ero e dove fosse questa Flora che mi sembrava di avere a cuore.

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Scendo dalla camerata al prendere un caffè al bar passando per un ponte sospeso ad un’altezza tale da essere sui tetti della città, spinto da un profumo che mi risveglia dopo anni alla mia età dell’oro. E quest’ultima che profuma tra i chicchi del caffè macinato, gli anni eroici delle guerre immaginarie infantili, che mi spinge ora a rischiare di mettere la mia vita attuale in pericolo; non è meschina per se ora la mia esistenza, sono arrivato ad un punto in cui vedo me qui ora e adesso, mi piaccio solo se piaccio, che disastro.. punto d’arrivo e di partenza rischiare sul ponte e altri pericoli.

Incontro il mio compagno di camera mentre attendo di avere lo scontrino per il caffè e mi afferra per un braccio dicendomi con il gesto di uscire dalla fila per raggiungerlo. Io sono un poco seccato, ma lo raggiungo per sapere se a bisogno di qualcosa, un bicchiere d’acqua, che so il quotidiano. Lui m’indica la ghiandaia che si è posata sul pavimento del locale e m’indica l’ascensore, ed io che del suo piumaggio marrone chiaro avevo visto le tinte di Morandi e d’altri miti personali orpelli, lo segui contro voglia nell’ascensore verso il fiordo oceanico.

Mi ritrova su un piano imprecisato un libro tra le mani e una morbida tunica e la barba mi vestivano. Gli chiesi perché mi avesse chiamato e cosa volesse da me. Lui mi prese sottobraccio e mi portò sulla terrazza, dove il mare in risacca fragoroso mandava alti getti di schiuma contro le rocce del fiordo. Mi disse di fare qualcosa, solo un gesto qualunque ed io come ad aprire una tendina di sipario mossi la mia mano. Poi mi sedetti al posto di guida e iniziai il viaggio verso la petroliera che aveva avvistato e l’equipaggio temeva la nave pirata.

Ero cosi intento a procedere modulando l’acceleratore e seguire morbido le curve panoramiche che non mi avvidi del mio amico sulla veranda ed io di fianco a lui che mi agitavo forsennatamente allungando il braccio e stirando il gomito, ruotando il polso, stirando prima una gamba e poi l’altra e girando gli occhi nella loro orbita. Mi accostai alla petroliera e con un balzo ne ero sopra. Il capitano mi si fece incontro. Il mio amico vedeva solo metà della scena sul terrazzo, allungare e stringere immaginarie mani, piegare le ginocchia per reverenti inchini di ringraziamenti mentre io lì e il capitano non tardò a dirmi quale fosse lo scopo del nostro incontro.

Da qualche tempo si avvistava, mi disse, una nebbia portata per il mondo da una nave. Era una nebbia galattica, veniva da lontano, da un assurdo luogo e questa nebbia mi avvolgeva in mare, in un mare di atomi ed energia. Facemmo tutti un brindisi. Ero ritornato al bar della caserma per prendere il caffè, poi ero andato in bagno per rinfrescarmi. Notai che la faccia mi stava cadendo. Mancava uno spillo a sostenere la maschera mia, e ne presi uno che avevano lasciato lì, era la mia faccia di sempre con tanti spilli; se avessi voluto avrei potuto procurarmene una nuova, cambiare ma il cambiamento avrebbe comportato di riorganizzare tutta la mia personalità, la mia anima, le cose buone o cattive in me in un nuovo ordine, una cosa cosi al momento mi faceva sentire la mia maschera faccia su di un vuoto non altrimenti contenibile.

 

 

 

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