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IL CAMBIAMENTO

 

 

 

Davanti alle mura, davanti ad una porta sbarrata, irrimediabilmente chiusa. Mi accorgo che è solo un sogno più reale dell’esperienza. Sto fantasticando di me stesso, mi osservo sognare. Nella mente chiusa nel sogno non ho via di uscita, la porta è chiusa e dietro non v’è nulla.

Non trovo nulla, ho smarrito il passato. Sono in disaccordo con me stesso, o meglio con quello che ero. Io sono solo, lontano da Milano, sono solo ma so che ho percorso una strada di Milano con la pioggia cadente, ed è passato tempo da allora. Conclusi la mia poesia, giunto ad una porta chiusa, prima di andarmene da Milano. Davanti a questo punto d’arresto, una porta chiusa ho alle spalle i giorni passati che sono dietro alla porta della memoria rimossa.

         Istinto sessuale, di sopravvivenza, di piacere, dolore, l'emotività, di morte, la vita qualcosa d’innato, stanno dietro alla porta.  Sono divenuto il custode del mio magazzino del tempo, annoiato. Un miracoloso essere me stesso e insieme il deposito dell’archivio di me stesso. I capelli sulla mia testa li porto per necessità di magazzino.

In poche concentrazioni di atomi, di pensieri, tralascio il lavoro del catalogatore di me. Sono, alieno da me, per pigrizia di fare un inventario del mio passato. Io non sono esattamente la somma del passato sono la somma sbagliata. Io sono diversi Io.

         Oltre la barriera porta c’è il mio inconscio. Per anni ho pensato fosse un muro nero che non riuscivo a comprendere, sapere se quel muro nero, se dietro ci fosse qualcosa in grado di spaventarmi; ora lo ignoro, mi ci sono adattato a non capirmi. O forse qualche messaggio mi ha convinto a ciò.  In questo mio Io, vi è qualcosa che è nel sistema libico, qualcosa che è collegabile all’amigdala e al mesencefalo qualcosa che è l’ipnosi, la suggestione, la persuasione occulta e l’ES, la malattia, la guarigione, ecc.. Di ciò me ne disinteresso. Non voglio capire, ho accettato che le cose accadono perché devono proprio accadere; quasi con un accento più che fatalistico, animistico.

Non ve in me principio che non sia semplice gratificazione ed è da questo punto di vista che sono ortodosso se mi si prede per il semplice cadere di una goccia zuccherina. Non ho nulla che mi preme fare, posso fermarmi, non desiderare la cosa che desideravo un attimo prima. Il fiume ha sfociato alle mie spalle con forza, mi schiaccia contro la porta.            

L’attesa che si aprisse questo porta, come la caverna di Ali Babà è stato uno spreco di vita. E’ vero che io non volevo essere risanato dal mio delirio prima di un dato sacrificio, di un mio rito d’iniziazione alla vita volevo che costasse molto tempo. Questo è il prezzo che avevo chiesto a me e al mio medico per il cambiamento, questo gioco era stato la mia prima vera resistenza. La prima vera ossessione, lasciare sopravvivere una parte di me disfunzionale.

La sorgente del fiume che scende dal futuro e mi schiaccia contro la porta. Dovrei cambiare, e questo è pacifico. Vado anche da un medico per questo.  L’istinto aveva in me cambiato percorso, la stasi, la monotonia di una sofferenza quotidiana. In certi momenti di tensione e stralunati mi sono chiesto cosa sia il pensiero. Sorpassando tutte le discipline scientifiche, se non letteratura, fatto per fare mi ero detto che doveva esserci un quantum, un’unità base di misura del pensiero. Questo aveva nella mia fantasia la forma della ripetizione, rifare a caso qualcosa, rifarlo fuori luogo, mi pareva centrasse con l’intelligenza. Mi fermo a pensare se questo sia possibile vederlo come nascita anche della parola. Emettere suoni fuori dal contesto diretto.  Prendersi la testa tra le mani e sentire che siamo energia, una parte del cielo bianco dell’Essere.       

 

     

Mi trovo ancora davanti alla porta, il passato rimosso, nascosto con la sua legge che dice ad ogni stimolo corrisponde una risposta ma questa arriva dopo, arriva dopo un contorto percorso. Divento oggetto tra gli oggetti. Mi accorgo che sono chiuso per quattro lati da scudi.  Anche sotto e sopra. Io so che la mia vita si è allungata grazie ad una portentosa solitudine: la ritrovo come un balsamo, dove molti vorrebbero di fretta scansarla, io tra sei scudi mi annoio con ostinazione.

 Sono lavorati e di nobili fattezze le incisioni sugli scudi, cinto sono da essi, non c’è legame io sospeso, loro si pongono dentro di me come depositi di materiale concreto, sono la mia carne. Se non ho coraggio di toccarla, allungare la mia mano mentale fino al mio cuore pulsante, come per dare e prendere da me la scarica nervosa io non osa allungare questa mia mano dentro gli scudi, schermo che si possono attraversa per entrare, ma io rimango nella gabbia.

Non trovo qui le dinamiche inconsce, i rapporti con gli altri, le scelte dettate dal mio gusto e sensibilità, la mia contingenza storia che ha fatto di me un preciso appartenente ad un’epoca, nemmeno l’essenza di spirito che mi crea è rimasta sotto la luce dei miei occhi. L’attività intermittente della mia corteccia cerebrale, la fluttuazione dell’umore, l’evocazione delle regioni periferiche del sistema nervoso, mi portano tra profondi pensieri mimetizzati da banalità, angosce per il latte e il pane da comprare.

 

 

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Ritengo che questa metafora tra la pila e la mia vita psichica del tutto orrenda.  Il mio primo vagito, buffo o terribile, emesso e in parte o trattenuto, era una scarica elettrica, registrabile, ho trattenuto lacrime, parole, gesti, giorni tristi, allegri, dolorosi anch’essi cariche d’energia registrabile.  Energia ancora prima che pulsioni, ancora prima che attività mentali superiori, sono stato energia elettrica.

Quello che fluttua fuori da me stesso, non è né immagine, affetto, oggetto ma energia. La realtà è corrente (elettrica). Io sono una pila che carica o si scarica. Davanti alla porta, davanti agli scudi attraversato da energia elettrica osservo l’angolo che mi è dato, accendersi e spegnersi, alzarsi e abbassarsi in curve, illuminarsi di un ventaglio di colori.

         La mia gelosia è buia e chiusa. Mi sono fulminato per gelosia, anni fa. Non era che non volessi che lei fosse libera da me tristo. E forse non mi sono neppure fulminato proprio per questo, anni fa. Mi sono fulminato come una lampadina, mi sono di certo fuso e sono saltati i contatori.

Non dovrei soffermarmi sul mio black out ma questa pulsione o immagine risale in me ed io non so bene come gestirla, non posso rimuoverla dalla mia testa, non posso lasciare che mi cambi in peggio il mio equilibrio. Ne ho infine, paura. Lascio che tutta questa energia in qualche modo fluisca tra i muscoli rilassati che trovi bacino in un sentimento.

Le emozioni come la mia paura, fobia o gelosia (le emozioni sono cerchi concentrici, sono continuum, tra la paura e l’annichilimento e la gelosia fatta odio e distruzione) ma questo continuum o gamma lo affronto in un modo mio e mi demolisce solo in parte le strutture della mia personalità, la gelosia solo in parte mi depaupera la mia forza e integrità mentale.

Al momento ero calmo, poi ho immaginato qualcosa di brutto e ho sentito della rabbia, del terrore che mia schiacciato contro i sassi, contro gli scudi o contro la porta. La corrente mi scorre addosso, non soffro, non mi brucio. Rimango davanti a qualcosa come una torcia elettrica. Sbaglio i nomi che non imparo né uso quasi mai, e non so mai dire quali acidi ci sono nelle pile classiche o ricaricabili o batterie per auto o cellulari.

Se un militare incontrasse un alieno penserebbe tutti i modi per distruggerli che sono a lui possibili, anche la bontà se ci fosse sarebbe una scarica elettrica.

 

 

E’ dentro il soffitto o è dentro il pavimento questo senso di colpa per cose e problemi irreali; non ci sarebbe bisogno che mi senta cosi male senza nessun motivo. Oggi è nuvoloso, dalla mia finestra guardo le nuvole pallide coprire il cielo e dico, è colpa mia se è una giornata grigia, ho sbagliato e questa è la punizione, a questa della nuvolosità, mi dico è un’idiozia e lascio.

Io soffro della Sindrome del sopravvissuto, a volte, so, che colpisce chi è scampato ad un disastro, salito su un aereo, un treno dove solo costui c’è la fatta a salvarsi, un terremoto dove è stato estratto vivo solo o quasi. Tornato alla normalità e cosciente di essermi salvato ho preso a ritenere questo fatto un porto lontano, lontanissimo dalla mia vita precedente..  C’è chi non mi riconosce anche se eravamo conoscenti. Sono cambiato, lo sono forse veramente.

Non è solo qui il senso di colpa su cui poggio i piedi, che è il soffitto sopra la mia testa. Nella percezione che le circostanze mi sono state favorevoli, al punto che in qualche momento ho sopravalutato le mie capacità e a quel ricordo mi sono sentito male,  malissimo. E non voglio che questo pensiero riaffiori nella mia vita, perché non ho una personalità cosi forte da sminuire, assimilare un tale violento segreto chiuso dentro di me, lo sento il pavimento e il soffitto della colpa che instabili mi fanno cadere, mi schiacciano. Tutto questo nella pagina della guarigione, nella pagina con questa frase: “…un segreto esclusivamente personale è nefasto, e agisce come una colpa, che esclude l’infelice possessore della comunione cogli altri uomini.”  Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna. Carl Gustav Jung)

         Il segreto o meglio, il privilegio in sé segreto della fortuna non è contemplato. Confessione che lo stesso psicoterapeuta, troverà un caso fortunato tanto intricato da aspettarsi le scuse del paziente. Per altro la mia fortuna soprattutto rispetto alle avversità continue, e per me non assibilabile, fughe inspiegabili dentro e fuori crisi profonde e speranze chiuse nel cuore dove sono antro e uscio di anni incomprensibili in cui ci si sente guarito e non è vero si hanno delle ricadute vere con altre nuove guarigioni parziali in una serie di rinascite in vita, ma mai definitive. Inaccettabile fortuna.

Doppio il dolore, doppia la sventura che grava su di te, ben ti comprendo” (Edipo re, Sofocle).

 

 

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