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LA RELAZIONE UMANA

 

                                                                 

S. era nella sua camera d’albergo a Tel Aviv chiuso in una camicia sudata, aspettava di udire le sirene di un’ambulanza che lo togliessero dal dubbio che l’attentato era avvenuto e di che tipo, se si fossero usate armi atomiche questo era l’inizio della guerra. La guerra si sarebbe estesa presto alla regione e di seguito all’intero pianeta, nelle forme e modo che la gente non si sarebbe aspettate mai. Le vie erano affollate, l’idea della minaccia terroristica era sempre presente ma questa paura non aveva l’aspetto di una catastrofe della Terra e non c’è un’idea del dopo se fosse avvenuta. Al porto era attraccata una nave mercantile di poco valore, armata da un paese asiatico con un carico di materiali di rame e zinco, attraccata in attesa di essere ispezionata. Poteva essere in qualunque punto del pianeta l’ordigno essendo le città tutte aperte ai commerci e vulnerabili alla penetrazione di oggetti esplosivi. Era solo un’efficiente rete d’intelligence che aveva permesso a molte città di non essere colpite o colpite più duramente. La velocità con la quale le persone si spostava e la quantità crescente delle merci spostate era andata aumentando portando la sicurezza ad un collasso. L’ordigno sulla nave venne fatto deflagrare in un’esplosione atomica che investi la città, l’onda d’urto distrusse polverizzando la zona limitrofa della città che provocò una serie di crolli e incendi; non ci fu il suono delle sirene.

 S. sotto le macerie prima di morire sentì il silenzio, la città che cucina anche se dolorosamente una pace era in silenzio, trascorse un tempo prima che qualcosa succedesse, nel frattempo ci fu silenzio come se i satelliti e i centri d’informazione non reagissero, e i capi di stati decidessero se scatenare la guerra in un tempo indefinito, come e se atomica. Per lungo tempo non si seppe e per decine di minuti nelle città estere la vita continuò nella normalità il lavoro, la scuola, il divertimento: era vero che le capitali non ignoravano la catastrofe ma per un attimo si attese, potevano esserci altri ordigni, poteva essere l’inizio di una manovra militare di grande portata, cosa stavano facendo “gli altri” gli americani, i russi, i cinesi e tutti i paesi armati con atomiche, armi batteriologiche e non convenzionali.

 

F. nella sua stanza di una città mediorientale aspettava certo della reazione di Israele. Era F. tenente, comandava una batteria di missili terra aria. Intorno a un paese colpito dalla distruzione quasi letale tutti gli eserciti erano stati allertati, allarme massimo, cosa che era avvenuta non istantaneamente ma in alcuni minuti forse gli eserciti erano passati all’allarme massimo, prima che anche le caserme minori fossero mobilitate trascorse un’ora ma già dopo qualche minuto partì l’attivazione dalle batterie di missili atomici terrestri, quelli navali e sui sottomirini, gli aerei già in volo affiancati da altri armati, e cosi tutte le basi nazionali e in altre parti in terra straniera, ma come si sarebbe presentato alla gente il fatto, dalle prime notizie era successo qualcosa di gravissimo ma non precisato mentre la nazione colpita da se si preoccupava prima del proprio isolamento da tutti, tutti erano oramai nemici. Paradossalmente ritardava la controffensiva lanciando tutte le potenze nella incertezza le quali si prepararono con la mobilitazione generale.

La prima preoccupazione non fu l’offensiva o la risposta per Israele, ma la paura del panico nelle popolazioni questo a costo di provocare il terrore dell’inspiegabile silenzio che sembrava prolungarsi dall’esplosione attraverso l’oscuramento di tutti i canali radio video del paese. E questo risposta era seguita con l’invio di truppe pronte a superare il confine, da ordini considerati dagli stessi piloti atroci di bombardare lo stesso suolo del loro Stato contro antenne e trasmettitori mentre le artiglierie usavano nuovi ordigni in gradi di annullare il segnale dei satelliti.

L’isolamento riguardava però anche lo Stato Maggiore e la Presidenza della Nazione che diffidavano di qualsiasi intervento e pure di qualsiasi messaggio da stati esteri, dagli stessi Stati Uniti, cosa che si concluse nel giro di quarantacinque minuti nella reazione di usare una parte dell’arsenale atomico, confidando che l’attacco a paesi senza queste armi sarebbe stato compreso e non avrebbe provocato una catastrofe ancora più grande. In questo silenzio spettrale quarantacinque minuti dopo, mentre le città di Gerusalemme erano in una calma assurda rotta solo dagli ordini dei megafoni, partivano i missili che F. attendeva con la sua batteria antiaerea.

L’esercito di Davide avanzava nel deserto quasi senza trovare una resistenza, impegnarsi in una battaglia, non v’era stato tempo in un’ora di organizzare uno scontro aperto di soldati di stati avversi, e inoltre l’avanzata aveva lo scopo principale e quasi unico di crearsi un grande “campo di tiro” nelle possibilità tutte di un conflitto con armi in grado di colpire a grande distanza. Mentre questo avveniva l’aviazione già in volo andava a colpire gli impianti radar e nonostante sistemi d’intercettazione agli infrarossi come altri sistemi di mira non servivano contro la caduta di una singola testa multipla nucleare ora attuata da Israele, un sasso senza possibilità di essere fermato. E di questo fu testimone F. della caduta e dell’impensabile esplosione di una bomba atomica di megatoni oltre qualunque aspettativa a dispetto della non creduta capacità.

A questo punto il silenzio divenne mondiale, tra tutti i paesi non si scambiavano più informazioni con nessun mezzo la gente era solo informata tramite i canali nazionali, mentre i satelliti per le telecomunicazioni erano inattivi, le reti telefoniche isolate, la rete Internet isolata, “Si solo verificate diverse esplosioni atomiche, la prima in Israele e le successive in Medio Oriente …” le trasmissioni era sotto forma di rapidi bollettini, mentre le trasmissioni continuavano con appelli alla calma e raccomandazioni ai principi di sopravvivenza nella situazione attuale. La sospensione completa delle trasmissioni televisive avrebbe generato uno stato di follia del mondo. A questo punto un segnale inviato dallo spazio fu raccolto dalle basi internazionali terrestri: “Terra! rispondete!, Terra …” L’astronauta della base lunare stette colpito duramente dal silenzio, un silenzio dalla Terra, della Terra, che era nel muto saltato a lui, George astronauta statunitense, inebetito che muove ossessivamente le dita sulla tastiera e pensa che per tutti i peccati del mondo, no, non doveva succedere e chiede supplice perché adesso, perché proprio a lui per tutti quante le colpe avesse questo silenzio, questo errore era troppo grande per tutti i crimini del mondo …

 

 

Controlla gli strumenti, e tutto funzionante ma segnale inerme, la Terra tace, il mondo pieno di tutte le possibili varianti di radio segnale, di segnali e trasmittenti dalle grandi parabole, di miliardi di antenne e telefoni, in questo momento lui sente che tace, lo sa e questo è peggio, cosa è successo? Con calma, si disse, cosa è successo? George cerca di arrivare barcollante a videocitofono per riferire al comandante della base quella notizia che per quando possibile era del tutto remota. Il comandante aveva la responsabilità della base internazionale sulla luna e di sette persone di diverse nazionalità era in carica da un mese e sarebbe dovuto essere sostituito tra cinque, era uomo esperto in voli spaziali, ingegnere, moderato e intelligente, di nazionalità russa, aveva nome Alexander.

“dalla Terra nessun segnale radio o video, signore” disse George con desolazione. Il capitano non era per nulla pronto, ma trovò un modo di reagire alla situazione. Rimase sconcertato da prima, ma seguita da una verifica degli strumenti, ordinò di sintonizzare gli strumenti per cercare di raccogliere informazioni trasmissioni quelle che si potevano raccogliere (e questo fu vitale), poi disse: “questa è la guerra!”

       

Le navi nei porti, le istallazioni civili e militari, i centri urbani, le arterie stradali, gli edifici del governo, i palazzi le abitazioni tutte, le grandi centrali elettriche, i gasdotti, le riserve monetarie, i magazzini e le riserve alimentari, le istallazioni industriali, ogni spaccio o negozio era ancora intatto, i campi di grano splendevano al sole senza che si facesse torto ad una sola spiga, ovunque … tranne che nel Medio Oriente dove la desolazione era assoluta, la costa mediterranea ormai presidiata da truppe in stato di guerra, campi di raccolta profughi, scontri di guerriglia dalla potenza alta e violentissima, v’era una città rasa al suolo, come altre dopo solo un’ora, altre grandi città non c’erano più, disintegrate, anime vagavano distrutte in colonne, in strade cosi affollate seguendo grida di disperazione e una condizione che forse non era più umana, ma nel resto del pianeta tutto era ancora intatto ma che cosa avrebbero fatto le potenze asiatiche ora che Israele aveva messo il suo influsso devastante nel terreno di massimo interesse di Russia e Cina, avrebbero acconsentito dall’occidente tutto questo?

V’era oltre la sospensione di voli e spostamenti, all’oscuramento delle trasmissioni civili, che avevano provocato un suono irreale, un silenzio che arrivava alla base lunare, v’era oltre un’aggiunta di vuoto, di decisione dei grandi governi. L’interesse dei paesi medio orientali era principalmente la risposta armata ad un’offesa già di per sé omicida, ma vi era un’azione, una seconda fase dell’offesa che li bloccava, quando se sarebbe successo si sarebbe sguarnito il deposito nucleare della nazione israeliana, tale era presumibilmente in grado di annientare la popolazione in quell’area.  Alla disperazione della situazione si aggiungeva la disperazione che regnava a Tel Aviv che oramai viveva nel l’incubo nel suo “fazzoletto” di terra di ricevere le testate d’immensi territori contro cui nulla poteva Russia e Cina, quel problema dello spazio che non era stato risolto se non a livello culturale. Insomma, non si era tutti uguali avendo un continente a disposizione. Schiacciata per di più dalla sua stessa potenza di risposta all’attentato. Non era più ne morale pratica ne politica pratica.

In altro luogo, in attesa, D. stava attendendo un altro fatto, diversamente attendeva un segnale da Washington, riguardo all’uso dell’arma totale una reazione atomica dal centro della Terra che la distrugga. Su di una collina canadese intorno ad un bosco intatto, una base segreta scendeva dentro la terra come una miniera che piano si perde al buio di una notte senza fondo, dove v’era l’arma totale, un’ogiva che esplodendo avrebbe provocato calore, un forno in grado di generale una reazione atomica del nucleo terrestre.

D. attendeva a Pechino che “l’arma” fosse “caricata” e pronta a detonare, poteva pensare che la conferma giunta fosse solo una minaccia ( una tale informazione non era di per sé mai esistita di fatto) e questo suo dubbio bastava al governo cinese per non intervenire, e per escludere che ci sarebbe stata un’azione di truppe di terra, che la stessa ipotesi di un movimento di truppe, d’invasione dove si voglia era da escludere, ma non era questo che interessava ora Cina, Russia e Stati Uniti, era la regione siberiana nei pressi del polo nord, la più prossima ad esso. Erano le potenze Europee prese a contenere il panico nel continente, rendendosi conto della necessità di evitare che il tessuto civile si disgregasse, che lo spopolamento delle città provocasse una disgregazione della civiltà, che gli ospedali fossero la causa, con il loro saccheggio di epidemie letali e incontrollabili, rendendosi conto le potenze europee atomiche Francia e Regno Unito che il loro suolo patrio se attaccato sarebbe stato talmente sconvolto non sono e non più dalle radiazioni che da una morte dello stato irreversibile.

Il solo fatto di questa una minaccia andava da sé ad essere distruttivo tempo passando paradossalmente come l’esecuzione stessa, i confini chiusi e occupati dalle truppe in assetto da guerra, i voli di linea sospesi con la minaccia di abbattere qualsiasi aereo che avesse tentato di andarsene, l’approntarsi di campi profughi carenti dipendenti da tutto e per breve tempo sostenibili, i rifugi inesistenti, mai stati “necessari”, le continue esplosioni di caserme, uffici, ospedali a scopo di un piano di difesa esasperato al massimo, ciò conseguenza della minaccia che era a rigore sarebbe dovuto stato essere un avvertimento e la conseguenza era già una azione militare offensiva.

Tutto ciò che attenta allo stile di vita del mio paese, era questa una motivazione plausibile per l’attivarsi del sistema missilistico americano, la sola minaccia bastava a stravolgere lo stile di vita delle nazioni facendo l’esecuzione di una guerra mondiale atomica la conseguenza dell’avvertimento, la minaccia era sufficiente e allo stesso tempo la minaccia era la causa.

Alexander preso tra diversi sentimenti sedeva tra gli astronauti nella sala riunione che erano sette, un cinese, un russo, un americano, un francese, un italiano e un sudafricano,  ed una ragazza australiana, doveva con loro essere franco ma come evitare che il pessimismo fosse: tragica fine del mondo . (punto). Cosi iniziò: “Da circa tre ore siamo isolati o meglio non riceviamo messaggi radio dalla terra. Gli ultimi messaggi non rivelavano anomali e stati di emergenza. Abbiamo fin ora ricontrollato i nostri strumenti di comunicazione e sono funzionanti. Continuiamo a intercettare segnali in codice, di basi militari indecifrabili, sembra che non vi siano segnali verso lo spazio, i satelliti commerciali sono spenti.

Possiamo pensare a una guerra a tutto campo perché siamo riusciti a intercettare alcune comunicazioni le ultime dove è evidente una crisi mediorientale di tale proporzione da giustificare le più pessimistiche previsioni: poniamo che questa eventualità sia quella vera noi ci troviamo ad essere gli unici sopravissuti o ad essere le persone che stanno osservando la terra nella sua situazione peggiore nella quale forse sia mai stata e dobbiamo chiederci, c’è ancora una via di salvezza.”

L’equipaggio era composto da George statunitense l’’uomo che aveva dato l’allarme, la mancanza di comunicazioni, l’italiano Mario, il francese Paul, Il sudafricano Brad e l’australiana Sara, tutti loro erano morti, morti da alcuni istanti in una complicata morte un’agonia veloce che doveva essere fermata come un emorragia. Lo sarebbe stato per chiunque apprendere della fine del mondo, perché la perdita era totale, tutto era stato annientato in loro, il proprio mondo, il paese, la lingua, la cultura, la gente, il mondo interiore, il ricordo il pensiero qualsiasi cosa vi fosse “dentro” gli astronauti volò nello spazio, qualcosa d’invisibili li lasciò come il silenzio. Il comandante Alexander doveva presto risolvere questo dramma prima che si realizzasse una morte vera conseguente ad un annullamento della coscienza per depressione seguita dal corpo, cosi terminò

“Ritengo che l’antidoto cui stiamo lavorando e che è pronto da alcune ore sia usato su di voi, questo appare la soluzione ed io rimarrò come diciamo testimone non partecipante all’esperimento, non v’è altro da fare … non possiamo tornare sulla Terra perché non c’è nessun luogo la che stabilisca una connessione (la Terra era visibile ad Alexander lo sapeva dagli oblò della sala e sapeva che l’equipaggio guardandola vedeva per la prima e letale volta una moneta mortale e sanguinante del diametro esatto di quella che gli bruciava sul petto all’altezza del cuore) questo vi permetterà di sopravvivere fino a che non si stabilirà di nuovo le ordinarie trasmissioni, nel miglior auspicio che il mondo possa farcela.”

 

 

Alexander guardava i suoi uomini e la ragazza prendere l’antidoto egli sapeva cosa fosse diventato ora i morti seppelliscono i morti, com’era scritto e tradotto nei Vangeli “lascia che i morti seppelliscano i loro morti” e questo faceva lui nel mondo era l’ultimo rimasto insieme con tanti a chiudere con il passato, a sperare che i suoi uomini e una donna potessero avere ancora un sogno dormendo nel tempo così era stato, ora?

Non c’era più sogno alcuno, di quelli che si fanno a occhi aperti anche per una vita, dura era per tutti la vista lucida dura su un mondo in fiamme, distruzione e la rovina tale da dirsi già ormai la fine. Non v’era ancora un attacco e una cartuccia sparata nel mondo ma quest’ assurda guerra in Medio Oriente aveva provocato un collasso civile. Le stesse istituzioni politiche per esempio continuavano a subire attentati e decapitazioni, intrusioni dal fianco di sovversivi e gruppi autoritari e dittatoriali, e più gli stati non si mostrava un accordo tra persone più si disintegrava in uno stato micidiale di male. Mentre D. aspetta a Pechino avverte un’onda, un’invisibile scossa, perire di tanta atroce tragedia per la sua città e per il suo paese gli era sembrato inevitabile ma ora sente che la fine si avvicina per un'altra via, che non è l’arma totale a trasformare tutto a deformare in morte la sua amata capitale e un vento sottile, tanto da tagliare le galassie.        

Dal Giappone scienziati americani e giapponesi si dirigono verso la costa russa, dalla Germania scienziati europei, africani sudamericani si dirigono verso la base della Siberia nella regione più vicina al polo nord. Poteva essere la fine e lo era, potevano usare le armi totali, se ve ne fosse più d’una nel mondo, ma era possibile fare implodere l’Universo, fare un’arma talmente potente da distruggere l’intero Universo? A questo quesito, e non era troppo ma esattamente la conseguenza della stessa situazione, delle armi, dell’ultima evoluzione della storia delle armi. Poteva esserci una risonanza tra materia e pensiero, un vento che arrivava alle viscere della materia, qualcosa che facesse la volontà di distruggere e la distruzione una cosa sola, che l’oggetto fosse colpito veramente l’oggetto in sé dal pensiero, che il pensiero si rendesse libero e sterminatore delle cose forse, qualcosa come un mostro alla fine del tempo.

L’antidoto era stato completato quando per una misteriosa via si era verificata l’esplosione di Tel Aviv era stata una trama a spezzare il progetto dell’antidoto una risposta al fatto che l’uomo potesse usare un tale strumento per migliorare la vita. “cosa ha provocato questo?” Chiese Alexander a Mario “un cattivo modo di relazionarsi” rispose assente l’astronauta italiano. Che cosa poteva esserci di cosi nocivo nella relazione umana da generare tanta tenebra, cosi ora essa aveva avvolto la Terra che Alexander vedeva dall’oblò, come se l’uomo fosse in un sonno che generava tenebra in grado di avvolgere qualsiasi cosa, anche la luna. Si accorse che Mario aveva iniziato a disegnare su un foglio di appunto e Alexander lo guardò interrogativo, sapeva che presto l’antidoto avrebbe fatto effetto: ricordo uno scrittore italiano, - disse Mario – che ha scritto: “Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile” e più oltre Mario termina dicendo la citazione “Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra tornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e malattie.” E Mario ritornò assorto al suo disegno. Sara reggeva l’archetto con lo sguardo rivolto alla Terra lasciando che la nostalgia dell’attesa, grazie alla viola, scorresse. Che il silenzio si rompesse, che al peggio si vedesse nascere una stella maligna da un nucleo fatto esplodere che avrebbe fatto fare alla luna chissà che fine, che la nostalgia scorresse lasciò Sarà violoncellista che scorresse la nostalgia dei suoi compagni astronauti, che, anche se era impossibile evitare che toccasse la morte Alexander, lasciò che scorresse la nostalgia, l’attesa, l’attesa che l’implosione di spazio e tempo potesse essere sopportata da tutti.

        

 

 

 

 

         Il racconto “La relazione umana” è un esercizio di narrazione, del tutto di fantasia e che non si basa su nessuna informazione, non ha nessuna documentazione, non coinvolge persone o situazioni, non vuole essere un esercizio di previsione del futuro. Non ha nessuna morale o messaggio. Quello che mi ha spinto a pubblicarlo è stato un crescente stato d’angoscia e in bisogno di rifugiarmi in questo racconto catastrofico condividendola.

 Domenico Merli

amultimediarte@email.it

 

 

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